Luis Alberto si racconta. Il fantasista spagnolo ha ripercorso la propria carriera partendo dai primi passi
Luis Alberto: “Quando ero molto giovane, giocavo spesso a pallone da solo. Sono stato fortunato ad avere qualcuno che mi ha visto e che ha parlato con mia madre in modo da poter far parte di una squadra locale. Nel mio paese, all’epoca, non c’erano di calcio, quindi questa persona è stata molto importante nella mia crescita. Sono andato a Jerez, a circa 30 chilometri da casa mia: avevo 8 anni. Mi hanno dato una palla in modo che potessi fare alcune azioni. Ero abituato a giocare da solo tutto il giorno davanti al piccolo negozio dove lavorava mia madre. Così è iniziato tutto.
Il numero 10? Il nostro ruolo consiste nell’ottenere due secondi d’anticipo per creare una situazione importante e fuorviare la lettura dell’avversario. La cosa più importante è il momento d’anticipo per trovare uno squilibrio nella squadra avversaria e trarne vantaggio. Quindi, è una questione di scelta: avanzare, passare, orientare. Questa è la cosa più difficile di questo ruolo. Il regista gioca più con la testa che con i piedi, e il motivo è molto semplice: molto spesso siamo più lenti degli altri. È anche una questione di raccolta di informazioni e occhi. La testa rappresenta l’80% di un calciatore. Se la tua testa è libera e pensi solo al campo, riesci a fare cose che nemmeno puoi immaginare. È il 70-80% del nostro gioco e se aggiungi conoscenza, concentrazione, voglia di diventare più forte, è questo tutto ciò di cui hai bisogno per migliorare. Questo è quello che mi è mancato nei momenti difficili del mio viaggio”. Così Luis Alberto ai microfoni di France Football”.