Alessandro Del Piero: uno slogan per l’Italia più che un nome e un cognome! Alessandro nasce il 9 novembre 1974 a Conegliano, un paesino in provincia di Padova. Ben presto il suo migliore amico diventa il pallone.
CAMPIONE UNICO
L
a carriera di Alessandro Del Piero ha vissuto tanti alti e qualche basso, ma mai per colpa sua. Lui anzi, nelle sciagure fatte da altri, ha sempre avuto la capacità e l’eleganza di non mettere mai bocca. Nel giorno in cui la Juventus, la sua Juventus, viene retrocessa in serie B assiste alla fuga di molti suoi compagni verso palcoscenici più importanti e stipendi più interessanti. Lui che fa? Neanche a dirlo, resta lì, con la fascia di capitano al braccio e gli scarpini pronti ad essere allacciati nell’armadietto.
DALLA CHAMPIONS ALLA SERIE B
Poco importa se l’esordio stagionale non è al Bernabeu o al Camp Nou, ma al Matusa di Frosinone. Lui è il portabandiera di un popolo, anzi lui è LA BANDIERA. Esito? Juve promossa ed Alessandro Del Piero capocannoniere del torneo. Proprio a dimostrare che a lui non importa come, quando e perché. Lui ama la Juve e il suo migliore amico è sempre quello, il pallone. E allora dalla finale di Champions League al campo di provincia continua a disegnare traiettorie perfette.
PINTURICCHIO
Disegnare? Forse è meglio dire “dipingere”. Si perché il suo soprannome è Pinturicchio, facile immaginare perché! Dalle stelle delle coppe alzate da capitano, alle stalle della serie B. Per tornare poi al top con la sua Juve che si appresta a vincere nuovamente il titolo. Sembra la storia di un bel film, in attesa della giusta scenografia finale per far calare il sipario su una carriera leggendaria. Invece no, c’è un intoppo. Il pragmatismo di Conte lo relega in panchina quasi sempre, l’aziendalismo di Agnelli jr non gli rinnova il contratto e allora quella che si preannunciava come la più felice delle scene finali si tramuta in una lenta, ma felice, agonia.
L’ADDIO ALLA JUVENTUS
Nella sua partita d’addio alla Juve, contro l’Atalanta, lo scenario è perfetto. Juve già campione d’Italia e le luci sono tutte per lui, come è giusto che sia. Cerca il gol e lo trova, tra lacrime e sorrisi, tra applausi e urla strozzate in gola per il magone. Dal Delle Alpi allo Juventus Stadium, tra vittorie e sconfitte è sempre stato lì in mezzo al campo. Lui con il suo numero dieci sulle spalle e la fascia da capitano al braccio. Al 12′ del secondo tempo con la Juve sul 2-0 il tabellone numeroso si alza: a uscire è il numero 10.
L’OMAGGIO AL CAMPIONE
Tutti in piedi sugli spalti è il momento di dirsi addio. Le gambe faticano ad alzarsi, tremano. Gli occhi si riempiono di lacrime e gli applausi che scrosciano per minuti sono un misto fra commozione, gratitudine e incredulità. Per molti dei tifosi presenti non è mai esistita una Juve senza Alessandro Del Piero. Per gli altri probabilmente non sarebbe potuta esistere più una Juve senza il suo capitano. I giocatori bergamaschi sono come attori non protagonisti, così come tutti gli altri calciatori.
PRIMA CHE CAMPIONE UOMO VERO
La scena è sua, come è giusto che sia. Percorre il campo in orizzontale fino a dare la mano a Quagliarella e poi va in panchina. La partita riparte ma in realtà nessuno la sta guardando. La storia di Alessandro alla Juve è finita. Lui in piedi sulla panchina continua a ringraziare tutti, con la stessa eleganza e classe che lo contraddistingueva in campo. Mai una parola fuori posto, mai un gesto poco elegante. Da Capello a Conte la panchina l’ha sempre mal sopportata ma la squadra è il bene supremo e allora testa bassa e lavorare. Ora la testa è alta e le braccia allargate. Come a voler abbracciare un popolo che per anni è stato suo. Ma di lavorare a Vinovo non c’è più tempo, si fanno le valigie e si parte.
L’ESPERIENZA AUSTRALIANA
Ma si parte sul serio, in altri continenti. “Non potrei mai giocare contro la mia Juve” e allora nonostante le offerte non manchino se ne va prima a Sidney e poi in India. Le sue gemme vengono sparse anche lì tra punizioni, assist, gol e interviste che dispensano eleganza e intelligenza. Di lì a poco uscirà il suo libro “Giochiamo ancora“, in cui parla di calcio e di Juve, ma non solo. Il titolo parla chiaro, farla finita con la squadra del suo cuore non lo faceva felice. Ma lui è diverso. Non ha mai avuto bisogno di capigliature strane o tatuaggi per essere riconosciuto leader e non ha mai voluto mettere se stesso in primo piano con il rischio di perdere di vista l’obiettivo di gruppo. In oltre 20 anni di carriera ha vinto tutto.
LA NAZIONALE
Con la nazionale si è laureato campione del mondo in Germania rendendosi protagonista del 2-0 contro i padroni di casa che ha fatto gridare “Andiamo a Berlino!” l’Italia intera. E in finale non ha tremato dagli undici metri! Un numero dieci che ha segnato in carriera come un numero nove, o se preferite un numero nove con i piedi da fantasista. Insomma uno come lui non nasce certo tutti i giorni. Ora il calcio lo racconta e, come in campo, pesa le parole e non ne mette mai una fuori posto.
Un campione assoluto che, a prescindere dalla fede calcistica, non si può che ammirare ed applaudire. E perché no, invidiare e rimpiangere. Oggi, nel giorno in cui Pinturicchio compie quarantatre primavere, la redazione di Laziochannel.it si unisce all’intero mondo calcistico, facendo al campione italiano i più sinceri auguri di buon compleanno.