La Compagnia Portuale di Civitavecchia ha organizzato, insieme all’Ordine degli Avvocati della città laziale, un convegno in materia di diritto sportivo e antidoping. L’occasione è buona per i festeggiamenti del 121° anniversario dalla fondazione della Cpc. Per il convegno Cpc Lotito, presidente della Lazio, è stato premiato.
Durante il convegno Cpc Lotito ha dichiarato questo: “Mi fa piacere essere un presidente che cerca di coniugare risultati sportivi e risultati economici con il rispetto di temi etici. Ricordo che quando sono entrato nel mondo del calcio parlai di calcio didascalico e moralizzatore. Il calcio ha un forte potere mediatico, ha l’obbligo di rappresentare un modello di comportamento soprattutto per i giovani. Io dico sempre ai miei calciatori che oltre ad essere esempi sul campo devono esserlo nella vita. La presenza dei calciatori in certi contesti come gli ospedali e le associazioni di beneficenza può rappresentare un valore aggiunto. La nostra è infatti una società che deve avere attenzione anche verso i più deboli”.
IMPRESA LAZIO
“
Quando sono arrivato alla Lazio sono rimasto esterrefatto dalla conduzione di questa società. Credevo fosse immorale pagare determinate cifre che neanche producevano risultati economici e sportivi. La prima cosa che feci quindi fu stabilire un tetto salariale per i calciatori. Questo fu preso negativamente, ma io amo dire che sono un presidente tifoso e non un tifoso presidente. Sono laziale da quando ero bambino, però sono sempre stato un riflessivo. È vero che il tifoso deve agire con il cuore, ma non deve offuscarsi la mente. Sulla base di questo io ho ritenuto che la Lazio, essendo un’impresa di capitali, dovesse rispettare principi contabili e di sana gestione, finalizzati al raggiungimento sì di risultati sportivi ma anche economici. Quando sono entrato ho trovato una situazione particolare, ancora oggi a distanza di 15 anni mi chiedo come ho fatto a risolvere un problema di quel tipo. La Lazio fatturava 84 milioni, ne perdeva 86,5 e aveva 550 milioni di debiti. Tutti dicevano che fosse un’impresa impossibile. Nella prima assemblea ho dovuto affittare un albergo e ogni titolare di azioni metteva bocca sul bilancio, senza neanche averne competenza. Allora pensai di dovermi inventare qualcosa per impedire che questa gente interferisse per risanarla. A fine anno, nel 2004, adottammo un sistema duale mutuato dal sistema tedesco. L’assemblea, pur rimanendo titolare della scelta della governance, non approva il bilancio. Quest’ultimo viene invece approvato dal consiglio dei sorveglianti. Questo mi ha consentito di poter accorciare la catena di comando”.
LA PRESIDENZA
“Io non percepisco un euro: quando mi sono insediato ho versato 25 milioni cash per acquisire il 21% della Lazio, versandone poi altri 50 per arrivare ad una maggioranza. La realtà fu di una persona che spese di tasca propria 150 milliardi di lire per prendersi 1070 miliardi di debiti. I fatti hanno dimostrato che la mia logica di risanamento ha portato dei risultati: quest’anno abbiamo chiuso la semestrale con 48,5 milioni di utili, la prima società in Italia e seconda in Europa per performance del titolo azionario pari al 164% di incremento. Questo per far capire che se c’è un’opera morale, corretta, di sana gestione si potrebbe risanare anche il Paese. Per farlo però ci vogliono capacità e coerenza di comportamento. A me farebbe comodo prendere un emolumento di 5 milioni, ne avrei anche motivo perché se fossi stato assunto in qualsiasi altra società portando un risanamento di questo tipo avrei avuto un compenso minimo di 100-150 milioni di euro. Io però non ho preso un euro”.
TIFOSERIA
“Ho sempre cercato di far capire alla tifoseria che i tifosi vanno rispettati ma devono rispettare a loro volta le regole. Noi accettiamo le critiche costruttive, ma non si può condizionare l’operato della società. Siamo un esempio per tutte le tifoserie a livello nazionale. C’è un clima diverso perché hanno capito che l’unione fa la forza. Una società che ha dietro un popolo, un esercito di appassionati, ha un grosso potere contrattuale. Se esso viene utilizzato in forma costruttiva si possono fare cose importanti. Oggi devo dire con molta onestà che hanno rivisitato i vecchi comportamenti e che Lotito non era poi così male rispetto a tante situazioni. Loro dicevano che ero tirchio, che dovevo cacciare i soldi. Io dissi che avrei portato la società dal funerale al coma reversibile e mi venne chiesto in quanto tempo. Dissi tre anni e io in tre anni l’ho rigenerata con basi solide non costruite sulla sabbia. Vincere lo scudetto e il giorno dopo fallire non ha senso. Non tutti coltivano l’aspetto etico sebbene l’etica dovrebbe essere un elemento di distinzione. Troppo spesso la visibilità offusca la mente di chi è preposto a condurre la società. Il consenso va invece conquistato in termini di autorevolezza, ed essere rispettato nel momento in cui la carica viene portata avanti nel rispetto di regole gestionali e morali. Sono contento che adesso i tifosi abbiano capito, perché il tifoso è un ruolo importante. Andare in uno stadio e vedere 60.000 persone costituisce una pressione positiva. È un elemento economico importante ai fini commerciali, ma non solo, anche a livello di appeal”.
I VALORI DELLA LAZIO
“Prendere la squadra dal fallimento a 0 sarebbe stato più facile, ma avere nella propria storia certi valori e un anno di nascita del 1900, sono aspetti che non possono andare persi. Andavano salvaguardati e non ricomprati. Un conto è risorgere, un conto è avere un numero di matricola originaria. Se controllate troverete infatti nomi diversi da quelli che si sentono. Ho cercato quindi di salvaguardare quel valore dei simboli, fra cui l’aquila che oggi vola sull’Olimpico. I bambini magari lo vedono come un rapace imponente, ma è anche un qualcosa che rappresenta libertà e fierezza, valori comuni ai nostri fondatori di Piazza della Libertà. La Lazio ha sempre avuto questi tratti nobili che ancora oggi si porta dietro al contrario dei dirimpettai, partecipativi ma chiassosi, anche se poi stringendo non vincono nulla. Le due tifoserie sono diamentralmente opposte. Nella vita se uno ha una coerenza nel comportamento deve fare una scelta. Avranno pensato che questo è più irriducibile degli ‘Irriducibili.’ Nel modello di gestione contano tanti aspetti anche psicologici. La gestione di una squadra di calcio non è equiparabile a quella di una società normale, perché entrano in gioco anche passioni e sentimenti. Quindi hai una responsabilità in questo senso, che è quella di preservare e tramandare il patrimonio storico e sportivo. Non si tratta solo del raggiungimento di un risultato economico. Il presidente di una squadra di calcio è custode di tutti questi principi”.
MARCHIO LAZIO
“Ad Auronzo di Cadore quando arriviamo ci fanno sempre festa. Essendo una società di calcio professionistica noi abbiamo valorizzato anche il marchio. Quando sono arrivato io il marchio valeva 0, perché i principi contabili prevedevano che il valore fosse quello scritto a bilancio. Io ho pensato che fosse una stupidaggine. Il marchio ha una duplice veste, una sportiva e un’altra commerciale. Quando sono entrato io nel calcio ho dovuto fare delle guerre per arrivare a presentare il pagamento dell’IVA al 31/12. Era una vergogna. Io quando arrivai da consigliere non si parlava neanche di INPS, Inail e via dicendo. Noi i 6 milioni di IVA l’anno la paghiamo in anticipo. Parto da un presupposto, quei soldi non sono miei. Quando li ho sul conto li consegno. Se parliamo di sport e pensiamo che coi soldi compriamo tutto non va bene. Queste cose alla lunga creano disamore. Sulla base del marchio, tornando all’inizio, io diedi il mio parere. Quando il sistema passò dai principi nazionali a quelli internazionali, bisognava documentare con un perito scelto dal tribunale il proprio valore patrimoniale, dal punto di vista immobiliare e altro. Quella valutazione mi aiutò a mettere da parte 150 milioni che sommati ai tagli e alla transazione col fisco mi permise di partire”.
INZAGHI
“Oggi quando tutti parlano dell’allenatore, del direttore e via dicendo, si deve pensare sempre che all’inizio ci fu una mia decisione. Inzaghi aveva un contratto a 4,7 milioni, io gli proposi 5,3 milioni spalmati in 5 anni. Lui accettò riconoscendo anche i sacrifici che stavo facendo e mi disse che voleva un giorno fare l’allenatore. Una promessa mantenuta. Lui è partito dagli allievi regionali e ha fatto la scalata. Lo volevo poi portare a Salerno e lui mi chiedeva quando avrebbe firmato. Ho preso tempo, dall’altra parte avevo Bielsa. Un allenatore che cambiava continuamente idea. Non voleva più giocatori una volta presi e ne voleva altri. C’era Simone quindi che aspettava una risposta. L’ho chiamato che stava a Milano Marittima e lui venne a Formello per firmare. I soldi? Gli dissi, decido io, tu firma, allenerai la Lazio. Lui ha sempre avuto grandi capacità, come Tare. Con Igli ricordo quando non volli rinnovare il contratto. Gli dissi che avevo un’altra idea. Avrebbe fatto il corso e sarebbe diventato il direttore sportivo. La capacità di scegliere i collaboratori è fondamentale”.
NUOVE REGOLE
“Con la Lazio abbiamo fatto di tutto e di più. Oggi per documentare un pagamento una squadra deve presentare un bonifico bancario, all’epoca c’erano tutti questi assegni che non si sapeva da dove uscissero fuori. Oggi è tutto tracciato, la giustizia sportiva deve solo stringere sugli adempimenti. Non si può penalizzare nel campionato successivo, altrimenti si altera il risultato di un campionato in corso. Sul pagamento degli stipendi, dei contributi, dei premi di produzione due punti di penalizzazione non bastano, bisogna impedire l’iscrizione al campionato dopo due o tre volte che succede una cosa del genere. Fare calcio non è un obbligo, bisogna avere una conduzione trasparente. L’ultima norma che feci, quella che stabilisce che chi compra il 10% di una società di calcio deve portare un certificato antimafia. Se nel calcio c’è una conduzione immorale come si fa ad essere un esempio?”.
SALERNITANA
“Quando ho preso la Salernitana era fallita in Eccellenza: l’ho fatta ripescare in Serie B con una norma esistente, pagando una cifra concordata. La gente veniva a chiedere gli assegni, un rimborso spese fino a 25mila euro per i dilettanti. Tutta una serie di cose assurde. L’esperienza è tanta, il calcio è sempre stato utilizzato per il consenso che crea, mobilitando le masse. Quando sono arrivato nelle Curve c’erano svastiche, di tutto e di più: oggi non c’è niente. I tifosi hanno capito che il loro ruolo va interpretato nel rispetto delle regole”.
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