In una lunga intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport il ds Igli Tare racconta la sua esperienza alla Lazio. Dalla scelta di diventare dirigente sportivo a molti altri argomenti.
Tare racconta la sua esperienza alla Lazio partendo dai suoi inizi da ds: “Entrai nell’ufficio di Lotito per firmare un rinnovo “1+1” e ne uscii d.s. della Lazio. O meglio: potevo esserlo, dipendeva da me. Aspettai 5-6 ore prima di entrare, capii subito che c’era qualcosa nell’aria: mi guardava strano. Poi mi diede un foglio, c’era disegnata la Lazio 2008-2009: “Che ne pensi?”. “Io faccio il calciatore, perché lo chiede a me?”. “Perché mi daranno del pazzo, ma ti voglio d.s.: penso a questa scommessa da due anni. Esci da una grande porta, entri in una grande porta:ti do due giorni per pensarci”. Una voce dentro mi diceva già che avrei accettato:nella vita ho sempre scelto di fare la cosa più difficile
Mesi dopo, Lotito mi spiegò perché mi aveva scelto:“Parli sei lingue, conosci il calcio estero, sei fuori dall’ambiente romano e dalle malizie delcalcioitaliano”. È in questo che siamo simili: capisce al volo le persone.E le dico che all’inizio abbiamo avuto scontri durissimi su una comune linea di comunicazione: costruivamo, e lui con un’intervista distruggeva. Ma se mi chiedono come faccio ad andare d’accordo con uno come lui, io rido. Guardate che di Lotito si ha un’immagine distorta, per d.s. e allenatore è il presidente ideale: conosce il limite dove si può arrivare, e non lo oltrepassa mai».
IL SOGNO NEL CASSETTO
Non c’è un vero e proprio metodo Tare, come non ci sono osservatori. Non mi piace lavorare in tanti. Ho un collaboratore per i dati, uno che mi prepara le clip dei giocatori e uno per l’analisi degli avversari. E poi i report di tanti amici in giro per il mondo. Ma la cosa che fa davvero bravo un ds è capire prima come può diventare un giocatore sconosciuto. E vederlo non basta: ci devi parlare”.
Sogni? Un uomo senza sogni è morto e il mio non l’ho mai nascosto: allenare, un giorno. Se mai sarà, solo l’Albania: non un club. Ma in fondo “alleno” già: mi piace vivere lo spogliatoio, parlare con il mio allenatore, aiutarlo senza intralciarlo nel suo lavoro. E non mi viene facile pensarmi non più d.s.,e neppure non più d.s. della Lazio: mi hanno avvicinato diversi club, ma il mio legame con questa società è nato e maturato fra le difficoltà, è una creatura che ho cresciuto e dopo 13 anni ce l’ho proprio dentro il cuore
SU LAZIO JUVENTUS
“Contro la Juve ho segnato e vinto una volta sola: 2-0 Brescia nel 2002, 7’ di recupero, mai visto. Mazzone urlò: ‘Che è ‘sta robba?’ e il quarto uomo: ‘Mi vergogno, ma scrivo i minuti che mi dicono’. Il potere Juve lo avvertivi, come oggi avverti che hanno i mezzi per controllare il mercato italiano, la loro politica aggressiva sui giovani di prospettiva”.
«La vittoria per 2-1 lì non è stata la nostra partita più bella di quest’anno, ma la più importante. Quella della definitiva convinzione di essere una squadra forte e ce lo dicemmo fra primo esecondo tempo, perdevamo ancora 1-0: “Oggi vinciamo: hanno paura di noi”. La Supercoppa italiana poteva essere stata un caso, ma quel giorno ne fummo sicuri: non era stato un caso. Non lo è stato neanche la mini crisi di fine gennaio-inizio febbraio:dati alla mano il periodo della stagione in cui abbiamo corso di più, dunque si è trattato più che altro di un calo di tensione. Sì, quello che la Juve non ha quasi mai“.
SUL RAPPORTO TRA LOTITO E AGNELLI
“Il contrasto politico Lotito-Agnelli è lampante, ma con Paratici zero problemi. Neanche per Keita, Milinkovic o de Vrij, che non andrà alla Juve anche se il suo nome è passato sul loro tavolo. Li considero un esempio per mentalità, metodi di lavoro: il meglio del calcio italiano, sì”.
SU BUFFON E IL RITIRO
“Io ho smesso 10 anni fa e Buffon è sempre lì, ma non mi fa effetto. Se arrivi a quell’età con certi obiettivi e ambizioni è perché li vivi meglio, e ogni giorno te lo godi più di vent’anni fa perché te lo sei meritato. Da suo dirigente non gli darei consigli. Sa da solo che è meglio lasciare in un momento ancora alto della carriera, ricordato come un campione. Ma sa anche che i propri desideri devono essere compatibili con la programmazione di un club. Secondo me un altro annetto ce l’ha dentro, ma molto dipenderà dalla Champions: provare a vincerla con la Juve dev’essere una specie di ossessione”.
LAVORO E STRESS
“Si disse che avevo avuto un malore, ma era molto di più. Finché non me l’hanno detto non ci credevo: ‘Per una cosa come la sua ci sono rimasti in tanti’. Si figuri che prima di entrare in sala operatoria chiesi: ‘Ma devo lasciare il telefono?’. Nove giorni in terapia intensiva, più di là che di qua, ma me l’ero cercata: chiari sintomi di stress a livelli di guardia e andai con la squadra a Napoli fregandomene del fatto che me l’avessero vietato. La Lazio si giocava i preliminari di Champions, io qualcosa di più. C’era poco da sentirsi eroi, il giorno dopo ero sotto i ferri”.
IL “CASO” ANNA FRANK
Una foto di Anna Frank con la maglia della Roma è da condannare, ovvio. Meno ovvio è limitarsi a dirlo senza pensare a come far sì che un gesto razzista non sia considerato semplice sfottò: tipo il coro dei miei ex compagni–“Sei venuto col gommone”– e io non ci vedevo razzismo, ma solo una presa in giro. Non basta mettersi magliette dedicate a una causa: Figc e Lega imparino dallo sport Usa, che coinvolge gli atleti in iniziative sociali. Educazione è questo e pure continuare ad andare allo stadio, come un mio amico tifoso laziale ed ebreo dopo l’episodio AnnaFrank:“Igli, vado all’Olimpico: a quelli non la do vinta”
SU MILINKOVIC
“Milinkovic era al Vojvodina, lo seguii grazie a un amico. Alto come me, e quelle doti tecniche: un crack, ma non potevo garantirgli di giocare quanto gli serviva. Lo monitorai al Genk per mesi, poi andai a prenderlo. La Fiorentina aveva contattato suo padre e fu per rispetto a lui che Sergej andò a Firenze quel giorno, poi rispettò me e il rapporto creato con i suoi agenti”.
SU INZAGHI ALLA JUVE
“Inzaghi alla Juve? Non mi dà fastidio sentirlo: si cresce, ma devono ancora succedere cose e passare un paio di anni. Dissero che lo sponsorizzai per far giocare chi volevo io – e ora tutti saliti sul carro – ma la scelta finale fu di Lotito. Simone doveva andare a Salerno, vedemmo Mazzarri, Sampaoli, Prandelli, Ventura: più parlavamo con altri, più capivamo che nessuno come lui poteva incarnare e trasmettere lazialità, e senza bisogno di una sciarpa addosso. Lotito era teso come un padre con un figlio: è la cosa giusta? Ma proprio nei giorni della decisione, a Simone ho visto in faccia una lacrima da tensione: ci teneva da morire”.
SULLA SEG E DE VRIJ
“In carriera ho fatto il classico passo falso da gavetta, il mancato acquisto di Pastore. Simonian mi fece avere il suo dvd, dissi ‘Top’, ma due agenti mi fecero credere che lui non c’entrasse con il ragazzo. C’entrava eccome, da allora diffido di certi agenti. Anche quelli di de Vrij? No, la percentuale della sua agenzia non c’entra nulla”.
IL NAPOLETANO VARRIALE TIFA PER LA LAZIO
LE PAROLE DEL DOPPIO EX KOVACEVIC SU LAZIO JUVENTUS E SU MILINKOVIC