Il suo gol al fotofinish al Pescara ha regalato alla Salernitana un pareggio prezioso e insperato. Joseph Minala si sta pian piano prendendo la scena, migliorando di partita in partita. Ma il centrocampista di proprietà della Lazio non dimentica i sacrifici e difficoltà superate per arrivare fin qui.
Questo il racconto di Minala alla trasmissione ‘Antidoping’, in onda su Rai2: “Succede che sei contattato da viaggiatori, persone che hanno possibilità di venire in Europa e piazzare giocatori in giro per il mondo. Per ragazzi africani che vedono tutto questo è una nuova speranza di vita, perchè ci sono delle persone che sbarcano sulle coste che nemmeno lo sanno come fanno per arrivare, è Dio che tiene la barca. Arrivai a quattordici anni alla stazione di Roma Termini con questa persona, mi disse di aspettare perchè avrei fatto un provino a Milano, ma fui lasciato solo. Entrai nel posto di Polizia e dissi ciò che mi era successo. Non ho più rivisto quella persona. In un anno ho vissuto in tre case famiglia diverse e nel frattempo avevo iniziato a fare un corso da pizzaiolo. Un giorno un signore mi vide giocare e disse che ero bravo, mi proposero di andare a fare un provino per il Napoli: io dissi di no, non mi fidavo più di nessuno, figurarsi se per me ci sarebbe stato spazio assieme a Cavani. Non ci credevo più, ero disilluso”.
LA CHIAMATA DELLA LAZIO
“Il percorso non è stato facile. Ci sono stati degli affabulatori che mi hanno minacciato quando hanno saputo che avrei firmato con la Lazio. A quel punto presi una decisione forte ed allontanai delle persone che mi erano vicine. Quando ero in casa famiglia e si pose il problema di uscire, bisognava fare dei documenti per il tesseramento con la Lazio ma nacquero diversi problemi perchè con la mia decisione di rifiutare il Napoli resi scontente molte persone. C’erano degli interessi e qualcuno ci rimase male”.
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