Paolo Di Canio si è confessato in una lunga intervista al Corriere della Sera. L’ex attaccante biancoceleste è partito dalla controversa vicenda del suo allontanamento da Sky, per poi parlare di politica e convinzioni che gli hanno causato non pochi problemi nel corso della sua carriera.
Iniziando dalla sospensione del suo programma dalla pay tv satellitare per una foto sul profilo Facebook di Sky Sport in cui appariva la scritta Dux tatuata sul braccio dell’attaccante: “Il giorno in cui vengo sospeso sono in redazione a Sky. Alle 20 c’era la presentazione del palinsesto, i colleghi la chiamano la sera del tappeto rosso. Io e Leonardo, l’ex calciatore brasiliano, eravamo tra gli ospiti. Vedevo facce strane intorno a me. Vado in albergo per prepararmi. Entro nella hall, suona il telefono. Ci sono rimasto non male, peggio. Ho urlato. Non so neppure cosa sono i social network. Orgoglio ferito. Mi sono sentito un appestato. Avrei voluto reagire d’istinto».
«Il giovane Di Canio le avrebbe risposto in altro modo. Ma ormai ho quasi cinquant’anni. Ho imparato a mettermi dalla parte degli altri, a ragionare con loro. C’è tanta gente che ha ogni diritto a sentirsi ferita dall’esibizione, per quanto non voluta, di quei tatuaggi. E un’azienda importante come Sky ha diritto a non vedersi associata a una simbologia che non condivide. Ma non era stata una mia scelta. E ancora oggi ne pago le conseguenze. Il saluto romano sotto la curva Nord è la cosa di cui mi più mi pento nella mia carriera. Quello è un ambito sportivo, è stupido fare un gesto politico che magari può essere condiviso da alcuni spettatori e amareggiarne molti altri. Non avrei mai dovuto farlo. Lo sport deve restare fuori da certe cose»
«Preferirei evitare le etichette come quella di fascista. Ho sempre spiegato come la penso, non è un mistero. Ma se mi chiede delle leggi razziali, dell’antisemitismo, dell’appoggio al nazismo, quelle sono cose che mi fanno ribrezzo. Trevor Sinclair, quel genio di Shaka Hislop, che terminata la carriera di portiere è diventato ingegnere nucleare, Chris Powell. Compagni di squadra. Amici ancora oggi. Ragazzi di colore. Phil Spencer, il mio agente inglese, è un ebreo praticante. Sono stato al Bar Mitzvah del figlio. Io questa cosa del razzismo non ce l’ho dentro, non mi appartiene, vorrei gridarlo».