E’ uno degli elementi imprescindibili del centrocampo biancoceleste. Nelle ultime partite, complice l’assenza del capitano Biglia, si è sacrificato in un ruolo non suo (quello di regista appunto) per il bene della Lazio e lo ha fatto in silenzio, senza polemiche: stiamo parlando di Marco Parolo. E’ il giocatore che ogni allenatore vorrebbe avere nella sua rosa non solo per motivi tecnici ma anche per il suo spirito di sacrificio e di gruppo. Questa sera la Lazio scenderà in campo contro il Napoli in una partita estremamente delicata. Parolo finalmente torna nel ruolo che sa esaltarne le doti come pochi, quello di mezz’ala e anche se il gol ancora tarda ad arrivare lui rimane fondamentale per questa Lazio. Di questo e di tantissime altre tematiche ha parlato il centrocampista di Gallarate in un’intervista a La Repubblica. Ecco le sue parole: “Mi ritengo un leader silenzioso. Preferisco dare l’esempio in campo. Però nello spogliatoio serve anche chi alza la voce quando è necessario. Nella Lazio noi vecchi cerchiamo di insegnare gli atteggiamenti giusti ai giovani. Siamo in pochi: io, Lulic, Marchetti, Biglia, Radu, Ciro… Perché anche Immobile nei veterani? Quando fai parte di un gruppo vincente come quello degli Europei, impari in fretta e cambi mentalità. Capisci che il talento non basta se non sai sacrificarti, soffrire e aiutare i compagni“.
NAZIONALE – “La Nazionale di Conte si basava su massima applicazione e ferocia agonistica, come la Juve che non molla mai. Certi concetti li ho imparati a 30 anni, li avessi capiti a 24 la mia carriera sarebbe stata diversa. Se con Ventura l’Italia è cambiata? No, la base è quella: se sai fare risultato soffrendo, come contro Spagna e Macedonia, sei una grande squadra. Sono persone diverse, Conte e Ventura, ma i principi di gioco sono simili. Poi il nuovo ct darà la sua impronta, com’è giusto. Se ci sono dei leader silenziosi anche in Nazionale? Certo: Chiellini, Bonucci, Buffon, De Rossi”. Il 15 c’è Italia-Germania: che effetto farà vedere Klose assistente di Low? “Nello spogliatoio l’anno scorso già si vociferava che quello sarebbe stato il suo futuro. Il giocatore-simbolo della Germania sulla panchina della nazionale: un segnale importante per il calcio, una cosa romantica”.
NAPOLI-LAZIO – “Abbiamo dimostrato la nostra mentalità nelle ultime tre partite: a Torino dopo il 2-2 ci siamo rovesciati di nuovo in avanti, contro il Sassuolo abbiamo saputo soffrire. Un risultato positivo a Napoli sarebbe un’ulteriore prova del nostro spessore”. A Napoli si saranno pentiti di non aver scelto Immobile? “Hanno preferito il nome, anche se poi Milik è forte. Nessuno che si sia fatto delle domande sul perché di quei due anni deludenti di Ciro all’estero, magari esaminando il contesto. Brava la Lazio a crederci, è uno da 20 gol a campionato. Segna ogni partita, credo segnerà anche al Napoli: poi toccherà a noi non subire gol”. Se il tridente della Lazio è sottovalutato? “Meglio, così loro capiscono che devono ancora dimostrare tanto. Hanno un talento straordinario, ma serve continuità e sono migliorati molto in questo. Possono diventare i più forti del campionato, Felipe Anderson fa giocate incredibili, è cambiato, maturato, avverte la fiducia del tecnico e di tutto il gruppo: noi gli chiediamo di essere decisivo, lui si sente importante e fa la differenza”.
INZAGHI – “Tre aggettivi per il mister? Coerente, aperto, ambizioso. Ha voglia di vincere e di emergere, ci trasmette questa energia. È uno vero in tutto quello che fa. Da applausi, poi, come ha gestito il caso Keita. Ora lui si è messo a disposizione del gruppo, ha capito che il talento non basta, senza spirito di sacrificio non vai da nessuna parte. Nel ritiro in Germania ci siamo dati delle regole, tutti devono rispettarle e remare nella stessa direzione: lì è nata la nuova Lazio. Se mi pesa non giocare la Champions? “Tanto, è il mio sogno. Ne ho realizzati molti, ho vissuto Europei e Mondiali, ma mi mancano la Champions, un trofeo e un gol in nazionale: in Macedonia era regolare, me l’hanno annullato”.
SUL POSSIBILE TRASFERIMENTO DI DE VRIJ ED ANDERSON – “Dico loro che vincere alla Lazio è unico e che possiamo aprire un ciclo. Ricorderei la festa a Formello per il terzo posto, le emozioni di quella notte. Poi, una volta convinti loro, mi girerei verso Lotito e gli direi che anche la società deve fare la sua parte, imparando dagli errori di due anni fa, quando sbagliammo tutti. Lo sta già facendo e i risultati si vedono, anche se se il cammino è ancora lungo”.
OLIMPICO VUOTO – “L’orgoglio (per la questione delle barriere) a volte può essere più forte dei sentimenti, succede anche nelle liti in famiglia. Ma io nei tifosi vedo una grande voglia di tornare, me ne accorgo dai loro occhi di tigre quando esultano in trasferta: se continueremo a giocare con questo spirito, li convinceremo. Il laziale è particolare: preferisce vincere 2-1 soffrendo che 4-0 in scioltezza”.
AMATRICE – “Si tratta di un’esperienza forte e toccante. Ho apprezzato la reazione e la voglia di ripartire delle gente del posto”.
FUTURO – “Se farò l’allenatore? Non credo proprio. Per me i calciatori che dopo 15-16 anni di ritiri e sacrifici si mettono ad allenare, continuando questa vita, sono un po’ matti. Ho aperto una scuola calcio a Varese, mi dedicherò ai bambini, cercherò di trasmettere i valori positivi dello sport. Però senza tante parole”.