Jamie Vardy nella sua autobiografia intitolata From Nowhere, racconta un aneddoto riguardante il suo idolo e vecchia conoscenza laziale: “Di Canio firmò per lo Sheffield Wednesday nel 1997, un anno dopo l’arrivo in squadra di Benito Carbone, e quella strana coppia di italiani mi regalò una delle migliori esperienze della mia infanzia. Un sabato mattina dovevamo allenarci a Middlewood e, dato che non erano previste partite, anche i giocatori della prima squadra erano lì per un allenamento leggero; io stavo facendo qualche passaggio con un ragazzo della mia squadra, quando all’improvviso si avvicinarono Carbone e Di Canio e ci sfidarono a calcio tennis. All’epoca erano probabilmente i due migliori giocatori del Wednesday – erano stati gli acquisti più costosi del club, quando avevano firmato – per cui che ci chiedessero di giocare con loro era davvero un sogno, che divenne un incubo una volta iniziata la sfida: ci distrussero. Da una parte della rete c’erano due ragazzi che si preoccupavano solo di mandare in qualche modo la palla dall’altra parte, non importava come, e dall’altra c’erano Carbone e Di Canio che davano spettacolo con passaggi e rovesciate. “Wow” era tutto quello che riuscivo a pensare. Adoravo Di Canio: che giocatore, quanto talento, quanta passione. Se però uno parla di Di Canio e dello Sheffield Wednesday tutti pensano all’episodio del settembre 1998, quando in una partita contro l’Arsenal diede uno spintone all’arbitro Paul Alcock che lo aveva espulso; a ripensarci le due cose che mi fanno sorridere sono l’atteggiamento teatrale dell’arbitro – che ci mette praticamente mezzo minuto a cadere a terra – e la scena comica di Nigel Winterburn, che prima si avvicina per affrontare Di Canio e poi si spaventa quando questi accenna a rifilargli un cazzotto”.
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Vardy e il suo idolo laziale
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