Il Presidente della Lazio Claudio Lotito è intervenuto questa mattina in diretta su Raiuno, durante il programma Unomattina, per parlare della ‘sua’ Amatrice. Il patron biancoceleste è apparso visibilmente commosso nel ricordare un luogo che oggi è totalmente diverso rispetto a quello da lui vissuto nel corso della sua infanzia: un luogo fatto di lacrime e non più corse e gioia giocando nei pressi della chiesa di Sant’Agostino, di fronte casa del nonno Enrico. Un luogo che lancia un urlo disperato di dolore e non più gli strilli e il vociare di bambini e ragazzi. Un luogo che, per Lotito, ruotava attorno al perno dell’oratorio della chiesa, dove lui giocava tra i pali della squadretta (poi divenuta squadra vera), sognando di diventare un grande portiere: «Non ero il capitano, non potevo esserlo, essendo il più giovane. Ricordo che vincemmo il trofeo delle sessantanove frazioni che compongono la città. Sì, questo era Amatrice: così la chiamo io, così dice la storia, una città che batteva anche moneta».
Una città dalla storia antica, di cui Lotito conserva gelosamente le memorie «che nessuno potrà cancellare, che nessun terremoto potrà mai portarmi via. Amatrice è sconfitta ma non battuta, come nel calcio può rivincere, deve rialzarsi, là dove è stata messa in ginocchio. Qui è caduta, qui risorgerà, non altrove, con le stesse forze, con l’energia e la dignità che da sempre hanno accompagnato questa terra. Tra queste strade ho trascorso la mia infanzia, qui la mia adolescenza, qui la mia maturità, quando ho trovato le idee per la mia attività imprenditoriale, frutteti, zootecnica, campi di grano. Sono crollate case, scuole, chiese, palazzi ma i campi non hanno sofferto come gli uomini“.