Olimpiadi di Atene 2004. Ultimo giorno. Maratona. In testa c’è un brasiliano di 35 anni, il suo nome è Vanderlei da Lima.
Ha un discreto vantaggio sulla coppia di inseguitori, l’italiano Stefano Baldini e lo statunitense naturalizzato Mebrahtom Keflezighi. Un vantaggio in calo, ma comunque cospicuo. Poi accade l’inaspettato: Cornelius Horan, un prete irlandese già noto per aver interrotto il Gran Premio di Gran Bretagna di Formula 1 nel 2003, irrompe sulla strada e lo placca, facendogli perdere il ritmo gara, facendogli perdere tempo, facendogli perdere la medaglia d’oro. Venti lunghissimi secondi passano prima che Vanderlei da Lima riesca a liberarsi da quell’esaltato irlandese, aiutato da uno spettatore. Passano pochi chilometri e la coppia inseguitrice riprende e sorpassa il brasiliano, siamo al chilometro 38. Il brasiliano stringe i denti e con coraggio e rabbia riesce comunque a conquistare la medaglia di bronzo, alle spalle dell’americano, argento, e di Stefano Baldini, medaglia d’oro.
Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. Cerimonia di apertura. Il mondo è con il fiato sospeso in attesa di conoscere il volto dell’ultimo tedoforo. Si è fatto il nome di Pelè, l’asso del calcio brasiliano per antonomasia. Qualcuno ha azzardato il nome del due volte campione del Roland Garros Gustavo “Guga” Kuerten. C’è chi ha sparato addirittura il nome della top model Gisele Bundchen. No. L’ultimo tedoforo è lui, Vanderlei da Lima, pronto a prendersi la sua rivincita. Pronto ad arrivare per primo ad accendere quella fiaccola simbolo dello sport e dell’universalità dell’Olimpiade. Una mossa azzeccatissima, una mossa commovente. In realtà si dice Pelè abbia rinunciato per motivi fisici, ma a noi piace pensare che la prima scelta sia sempre stata lui. Vanderlei da Lima, l’uomo fermato da un prete irlandese ad un soffio dall’oro olimpico. L’uomo che 12 anni dopo si è preso la sua rivincita davanti agli occhi del mondo.
Giulio Piras