In un mondo in cui Twitter va ormai più veloce della luce e sicuramente più dei normali organi di informazione, la prima voce a spiegare il dramma del terremoto che ha sconvolto il Centro Italia è stata la sua.
Alle 3.36 arrivavano notizie frammentarie: Roma trema, chi non ha il sonno particolarmente pesante si sveglia e già sa. Perché è lo stesso copione di quella maledetta notte a L’Aquila e perché quando Roma trema, qualche altra parte d’Italia crolla. Il crudele campanello d’allarme di una città non sismica: se si è sentito forte qui, dev’essere successo qualcosa di grave. Ma è difficile capire. Si parla di Perugia, circa venti anni fa l’Umbria fu sconvolta da un sisma di brutale violenza. Si pensa ancora all’Abruzzo, poi sembra la provincia di Ascoli Piceno, poi Rieti.
Quando gli istituti di sismologia iniziano a far comparire i primi dati (che rimbalzano sempre sui social, per il resto buio pesto) ecco che un nome compare chiaramente: Accumoli, Rieti. Scossa da magnitudo 6.0, si comincia a chiedere qualche testimonianza che dall’ombelico d’Italia non arriva, per quanto giungano segnalazioni che vanno da Rimini a Lanciano. Poi la frase, il lancio, la testimonianza che scuote le coscienze e fa capire chi ha pagato il tributo più grave, più insostenibile.
“Sindaco di Amatrice: la città non esiste più“.
Parole che fanno male se si pensa a uno dei borghi più incantevoli d’Italia, ma che diventano ancor più impressionanti perché si conosce di chiara fama la persona che le ha pronunciate. Sergio Pirozzi è il sindaco di Amatrice, ma prima ancora è l’allenatore del Trastevere, in Serie D. Figura notissima del calcio laziale, Pirozzi ha partecipato a una final eight Primavera alla guida dell’Ascoli ed è un allenatore abituato a vincere tutte le sue battaglie, seppur nelle serie inferiori.
Rieti, Sorianese, OstiaMare, per Pirozzi vincere campionati è sempre stata la prassi e ci era riuscito anche col Trastevere, portato alla salvezza l’anno scorso nel suo primo, storico campionato di Serie D. Nativo di San Benedetto del Tronto, è nel Lazio che ha sempre trovato la sua casa e in Amatrice la sua gente, in un borgo da amare e valorizzare con mille iniziative. Il calcio come passione e speranza, proprio quest’anno si era tolto lo sfizio di battere in amichevole l’Ascoli col suo Trastevere, un club di Serie B caduto di fronte al solito, organizzatissimo calcio di Pirozzi.
Una persona di grande serietà, così è stato sempre conosciuto nell’ambiente del “nostro” calcio. Quello che lo aspetta ancora ai nastri di partenza della nuova stagione. Ma per Amatrice e la sua gente ferita a morte, Pirozzi sembra pronto anche ad accantonare la sua passione più grande: impossibile allenare quando bisogna aiutare un pezzo enorme del proprio cuore a rigenerarsi e una città ad affrontare la sfida più dura degli ultimi 350 anni.
Sergio Pirozzi è stato il primo a lanciare il grido di dolore dell’ombelico d’Italia crollato, ripiegato su se stesso. “Amatrice non esiste più“: per farla risorgere, il calcio può sicuramente attendere.
Fabio Belli