Rosario è una città che vive di calcio molto più di quanto si possa immaginare a Roma. E questo può apparire già un clamoroso dato, ma tant’è. Due squadre, due anime di una città che affondano le radici della loro rivalità a un secolo fa. Una partita di beneficenza in programma, per raccogliere fondi per combattere la lebbra che flagella gli strati più poveri della popolazione della città. Una delle due squadre di Rosario, il Newell’s Old Boys, accetta, l’altra, il Rosario Central, no. L’essersi tirati indietro rispetto alla nobile causa vale ai tifosi del Central il marchio di “Canallas”, canaglie, un’accusa di insensibilità che non sembra turbarli più di tanto. Infatti i tifosi del Newell’s diventano immediatamente “Leprosos”, i lebbrosi, canzonando la solerzia con la quale avevano aderito all’appuntamento. Canaglie contro lebbrosi, e questo spiega praticamente tutto. Più lunga da spiegare è la simbiosi di Marcelo Bielsa, nuovo allenatore della Lazio, con la sua città e il suo club, il Newell’s. Bielsa è orgogliosamente “lebbroso”, tanto che lo stadio dei rossoneri è arrivato a chiamarsi “Marcelo Bielsa”, una delle rarissime intitolazioni a personaggi viventi di un’arena sportiva.
“El Loco” è orgoglioso delle sue radici ed anche del suo soprannome: “Un matto è solo una persona che porta idee nuove prima che queste si rivelino giuste agli occhi di tutti”. In questa accezione sì, Bielsa accetta di buon grado di essere “Loco”. Per lui il calcio è cultura, filosofia, religione: il suo rapporto con la stampa è tanto conflittuale quanto è sanguigno e passionale quello con i tifosi dei suoi club. Non rilascia interviste “private” da circa 20 anni, in compenso le sue conferenze stampa sono spesso veri e propri show. Per chi riesce ad accedervi, ovviamente: leggendario è il test di cultura calcistica e generale al quale sottopone i giornalisti locali, ovunque vada ad allenare. Solo chi riesce a prendere la sufficienza può avere libero accesso alle sue “lezioni”. Restio a confrontare le sue idee col primo che passa, “El Loco” quando deve parlare parla, non si tira indietro. A volte conferenze fiume per le quali ha sempre imposto la netta separazione dei ruoli professionali. “Io sono l’allenatore e posso spiegare un concetto in cinquanta frasi, voi siete i giornalisti e dovete riassumere tutto in una.” Più chiaro di così: un giornalista è un giornalista, non ci sono corsie preferenziali né amici, e quando in Argentina, ai tempi della Nazionale con Crespo, Veron e Batistuta, disse: “L’inviato del Clarìn (paragonabile al Corriere della Sera in Italia per importanza) o de La Opinion di Pergamino (come dire Rocca d’Arce) verranno trattati allo stesso modo“, riuscì a chiarire perfettamente come ognuno dovesse prendersi le sue responsabilità. La Lazio questo lo sa bene e per questo ha inviato Armando Calveri a Rosario per tornare con l’agognata firma del contratto.
Calcisticamente servirebbe un’enciclopedia per raccontare Bielsa, che si è spesso vantato (anche se vantato è una parola del tutto errata per il suo modo di essere e agire, sarebbe molto più esatto dire “ha rivendicato”) di aver visto nella sua vita almeno 30.000 partite. Il suo modulo può diventare un 3-3-3-1, un 3-4-3, l’importante è aggredire l’avversario, portare palla, puntare come portato alla ribalta dal “Cholismo” negli ultimi mesi più al “possesso palle” che al “possesso palla”. Un modo di intendere il calcio che si rifletterà probabilmente in richieste precise nel calciomercato. Ma è ancora prematuro parlare di tutto questo: per Bielsa il futuro è un’ipotesi da costruire giorno dopo giorno, senza certezze. E’ paradossale che quello che sarà l’allenatore di gran lunga più pagato dell’era Lotito, sia stato quasi pregato a firmare per due anni, come la società avrebbe gradito. E come non è riuscita a fare, accontentandosi della soluzione annuale: Bielsa preferisce accordarsi anno per anno perché ogni stagione fa storia a sé. L’unica volta, nell’ultima esperienza a Marsiglia, che ha accettato di firmare un biennale, le cose sono andate come temeva.
Scudetto sfiorato alla prima stagione, squadra sfaldata in estate e dimissioni dopo la prima partita di campionato, persa in casa. “Loco” ma con le idee chiare, anche alla Lazio ha fatto capire di voler trattenere Biglia e Candreva alla faccia dei “rumors” di mercato.
Ma ha ormai capito a quale velocità si muove il calcio europeo, dopo le esperienze a Marsiglia e con l’Athletic Bilbao portato a giocarsi la finale di Europa League. Una squadra con tanti giovani valorizzati all’epoca, da Iker Muniain a Fernando Llorente. Anche alla Lazio gli Under 25 di talento non mancano e questo potrebbe esssere uno dei motivi ad averlo convinto ad abbracciare il progetto biancazzurro.
Anche perché imporre i suoi metodi in una città così restia a farsi manipolare dai forestieri come Roma, sarebbe una sfida straordinaria. Quando allenava il Newell’s Old Boys, portato nel 1992 a giocarsi la finale di Copa Libertadores, amava dirigere l’allenamento da sopra un albero, guardando tutti dall’alto. Se il vento gli faceva cadere gli appunti, i giocatori dovevano fermarsi e aspettare che lui scendesse e risalisse. Se Roma e la Lazio sapranno fermarsi per lui, potrebbe davvero essere l’inizio di una nuova era.
Fabio Belli