Greenpeace ha lanciato un allarme tramite un rapporto nominato “Amazzonia sbarrata” in cui denuncia un mega progetto di più di 40 dighe che porterebbe all’allagamento di una grande area della foresta amazzonica, all’inondazione di villaggi e territori sacri per gli indigeni Munduruku e all’evacuazione delle popolazioni locali.
Le principali compagnie energetiche europee, ma non Enel, hanno progettato una gigantesca diga sul fiume Tapajos. Il fiume – un affluente del Rio delle Amazzoni lungo 800 chilometri fino a oggi è sempre rimasto libero dai progetti delle grandi compagnie – garantisce la vita di 14500 indigeni, di una numerosa popolazione locale e di una quantità inestimabile di animali e vegetali. Greenpeace inoltre denuncia ciò che questo comporterebbe sull’ambiente, compresi i cambiamenti climatici. I progetti, che implicano l’allagamento di estese aree forestali e il conseguente degrado di ingenti quantità di sostanza organica, provocano il rilascio di metano, un gas serra molto più potente della CO2. Ma, come dichiarato dall’associazione ambientalista, il 40% della nuova capacità elettrica non sarebbe necessaria se il governo decidesse di optare per l’efficienza energetica: “L’alternativa migliore al megaprogetto idroelettrico sul fiume Tapajós sarebbe una combinazione di eolico, solare e biomasse“.
A realizzare il progetto sarebbe il consorzio “Grupo de Estudios”, da cui si è ritirata Endesa Brasile, acquisita da Enel. La compagnia italiana ha dichiarato a Greenpeace di aver “comunicato ufficialmente al ministero brasiliano dell’Energia che non è interessata a investire nella regione del Tapajos“.