Di partite così, i laziali ne hanno vissute parecchie. Si intuiscono nell’aria, che poi non è difficile avere brutti presentimenti quando le precipitazioni di un mese intero ti cadono in testa in una sera.
Partite così non sono quelle per le quali solitamente i tifosi delle altre squadre ti prendono in giro. Quelli dell’altra sponda del Tevere, che tutti abbiamo amici come loro e c’è anche chi ne ha adottato qualcuno per cui non siamo razzisti etc. etc., ad esempio sono fissati con Lazio-Campobasso. Poveri loro, non capire che
una carovana da 35.000 persone in trasferta per evitare la retrocessione in C è motivo d’orgoglio e non di vergogna. Esperienze così fortificano e mettono le basi per un futuro da invincibili, pieno zeppo di gloria. Chi faceva la prima elementare nel 1986/87, laziale in classi piene zeppe non di gloria, ma di quegli altri, ad oggi ha vinto: 1 Scudetto, 5 Coppe Italia, 3 Supercoppe Italiane, 1 Coppa delle Coppe e 1 Supercoppa Europea in finale contro il Manchester United, roba che dall’altra parte metterebbero il DVD obbligatorio nei sussidiari nelle scuole primarie. “Dellà” nello stesso lasso di tempo hanno vinto 1 Scudetto, 3 Coppe Italia, 2 Supercoppe Italiane e un po’ di “SchiacciaSette” in Europa. L’avessero detto al bambino in prima elementare del 1986, che avrebbe vinto di più dei suoi caciaronissimi dirimpettai…
Tutta questa lunga premessa per dire che no, non sono i Lazio-Vicenza, i Lazio-Campobasso o i Lazio-Varese ad agitare i nostri sogni di notte. Sono partite che segnano punti di ripartenza, non di squallore. Come la retrocessione del 1985, quando qualcuno in un derby scrisse: “SOLO I VILI E I MEDIOCRI CONOSCONO LA SCONFITTA: NOI SIAMO GRANDI E RISORGEREMO“. E Bruno Giordano mandò a quel paese la Curva Sud (veramente, non metaforicamente) pareggiando un gol di “Dustin” Antonelli e riscrivendo un destino che pareva scritto.
Lazio-Sassuolo fa parte di tutta un’altra categoria di partite, quando la noia si mangia il disappunto. 30 maggio 1982, in quanti erano a vedere Lazio-Cremonese? Non Lazio-Varese di una settimana dopo, la salvezza con la tripletta di D’Amico, meno di 10.000 dentro e fuori in 90′ in un incubo che nessuno si sarebbe aspettato, sennò sarebbero stati almeno in 40.000, come nell’ora del bisogno. Lazio-Cremonese, la partita prima, quando la retrocessione sembrava impossibile. Oppure 1 giugno 1986, Lazio-Empoli 0-0: il nulla in una partita da niente, come direbbe Nick Hornby in “Febbre a 90”. Ed era Serie B. O ancora 16 maggio 1992, stavolta è Serie A, la Lazio le perde tutte nella rincorsa al sogno di una Coppa UEFA che sembra irraggiungibile, ma che arriverà solo una stagione dopo. “Dino, Torino ti ama… tornaci“. E’ il giorno della contestazione al monumento Zoff, la Sampdoria, pur con la testa a Wembley, scherza i laziali, senza obiettivi allo stadio sembra di stare a Villa Borghese.
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Lazio-Sassuolo è stata un po’ come queste partite. O anche come Lazio-Palermo, Muslera sbaglia e i rosanero vincono in rimonta contro una Lazio senza obiettivi, 4 maggio del 2008. Ma la cornice di pubblico, ieri, era più da partite precedenti. Mauricio ha ricordato Rufo Emiliano Verga, che doveva essere come Franco Baresi ma è stato sostituito a furor di popolo, inadeguato per un certo tipo di calcio. Ma in tutti quegli altri casi, il particolare diverso era un altro: tutte partite di fine stagione, giocate tra l’applauso smorzato di chi al mare proprio non era riuscito ad andare. E qualcuno, nello squallore, quello sì, generale, se ne usciva sempre con la stessa battuta: “Beh, potrebbe andar peggio… potrebbe piovere.”
Solo che stavolta era inverno.
Fabio Belli