Ogni giorno il derby di Roma si avvicina sempre più e tra le tante stracittadine a cui ogni tifoso laziale è legato particolarmente, tra queste è impossibile dimenticare quel Roma-Lazio del 12 novembre del 1972, quando al 35esimo un bolide di Franco Nanni piega la Roma e regala il derby alla Lazio. Proprio l’ex biancazzurro ha parlato di quei dolci ricordi, della Lazio di oggi e del derby di Roma: “Dopo quel gol sentii tutto lo stadio inneggiare il mio nome, questo mi diede una grande carica”. Poi su Maestrelli: “Non era uno qualunque, aveva una bontà che non potevi trovare in nessuno, la cosa che gli riusciva meglio- Continua l’ex biancoceleste ai microfoni di Radiosei– era quella di saper mettere a suo agio ogni giocatore, al di la del problema che uno poteva avere. Ci trasmetteva l’energia che serviva ma allo stesso tempo riusciva a farci stare tranquilli e avere fiducia“.
Un ricordo su Giorgio Chinaglia: “Non voleva mai farmi battere le punizioni ma una volta segnai contro la Sampdoria. Lo comprendevo, perché ero consapevole del fatto che essendo lui il centravanti era quello che avrebbe dovuto segnare più di tutti, ma in alcuni casi sarebbe stato meglio che lo tirassi io, ma non c’è mai stato niente da fare. Se mi rivedo in Hernanes? non proprio, più a Nedved, perché appena avevo la palla tra i piedi tiravo“.
Poi sul derby: “Prima era più sentito, in campo c’erano tutti italiani, diciamo che ci tenevamo di più. Contro la Roma non credo che si possa giocare a viso aperto, hanno nelle loro fila calciatori che se ti prendono in contropiede possono farti male”.
Su Patric: “Non si può dare un giudizio, l’abbiamo visto troppo poco e a certi giocatori va data tranquillità e fiducia per farli esprimere al meglio”. Continua su Parolo: “A me piace molto, vorrei vederlo giocare più avanti perché è bravo negli inserimenti e ha confidenza con il gol e invece viene sacrificato in un gioco di contenimento”.
Infine racconta della sua avventura nel settore giovanile della Lazio in veste di allenatore: “Nel 2005 mi arrivò la chiamata della Lazio, mi fu affidato il ruolo di coordinatore tecnico, il mio compito era di visionare gli allenatori, dialogare con loro e riportare alla società, diciamo che era anche un po scomodo come ruolo. Più tardi presi la guida degli Allievi Nazionali ma dopo 5 mesi mi dissero che avrei dovuto far giocare sempre un ragazzo, un terzo portiere, io mi opposi a questo perché la decisione doveva essere la mia e non di altri, a quel punto ricevetti risposte poco carine, io dissi alla società che del mio futuro ne avremmo parlato a fine contratto visto che loro mi confessavano di avere grandi progetti. Il 28 luglio mi dissero che non rientravo più nei loro piani, ma in quel momento decisi io di andarmene perché se avessi seguito gli ordini non sarebbe finita così…”