La “barbina” uscita della Lazio di Pioli dall’Europa League è soltanto l’ultimo dei mattoncini che completa ed erge un muro di vergogna e sdegno sportivo del quale “tutta” l’Italia dovrebbe farsi carico. L’unica squadra che sentiamo di difendere è la Juventus che è uscita dignitosamente contro il Bayern Monaco, dopo aver lottato fino alla fine.
Zero squadre ai quarti di Champions League. Zero squadre ai quarti di Europa League. Potremmo non scrivere altro per far percepire l’amarezza ed un silenzio eloquente, intriso di delusione e sgomento.
L’Italia del pallone in Europa non conta più nulla. Passi l’oggettiva superiorità in fatto di introiti, sponsor, diritti tv e incassi domenicali, quello che da questa edizione di tornei si è evinto è stata la totale mancanza di approccio mentale. Un misto di disorganizzazione e apatia, che hanno portato squadre come lo Sparta Praga ieri sera, ad affondare sogni (pochi), e speranze (irrisorie), della Lazio. La Banda di Lotito è stata il “dulcis in fundo” del carretto delle belle speranze italiane che male si è approcciato alle competizioni europee quest’anno e che ancora peggio è uscito, mestamente. La pochezza della Lazio la si vede nello strapotere mostrato sul campo da parte della piccola “realtà” ceca (con tutto il rispetto ovviamente) che torna a casa espugnando Roma con tre “pere” regalo a Marchetti e la qualificazione in tasca.
FEEDBACK – Dovessimo guardarci indietro per andare a pescare un’annata peggiore di questa (difficile) o quanto meno che eguagli i risultati negativi, dovremmo risalire la china agli 2000/2001. Gli anni d’oro del calcio italiano moderno, potremmo dire. Le chiamavano sette sorelle e spodestavano squadre europee come fossero troni abbandonati. C’era il Parma di Thuram, Buffon, Cannavaro e Di Vaio. La “Super” Inter di Ronaldo, Vieri, Javier Zanetti e Recoba. Presente la Roma, poi scudettata del giovanissimo Totti, di Batistuta, Nakata e Montella. Passando poi per altre squadre che avevano un ruolo di “bestia” nera per tutte le rivali, quali Fiorentina, Perugia e Udinese. Il Milan uscì contro quel Deportivo che ancora oggi i rossoneri sognano negli incubi di una notte di mezza estate.
E la Lazio? La squadra, allora di Eriksson e Cragnotti, due a cui oggi stenderemmo tappeti rossi pur di rivederli tra le fila dell’organigramma laziale, quell’anno cadde contro il Leeds, il Real Madrid e l’Anderlecht. Il caso vuole che la Lazio di quegli anni fosse l’ultima ad essere rimasta in Europa, proprio come la compagine sbiadita, sfilacciata e anaffettiva di adesso.
M
a è solo una coincidenza, i tempi sono cambiati, le rose sono cambiate, e soprattutto le gerarchie dirigenziali sono cambiate.
Prima c’era Sergio Cragnotti, adesso c’è Claudio Lotito.