L’Institute for the Study of Labour di Bonn tramite uno studio approfondito ha avanzato l’ipotesi che, se una squadra perde, le colpe potrebbero derivare non dalla preparazione atletica sbagliata o dai troppi infortuni o da una formazione messa male in campo, e neanche dalle condizioni del terreno di gioco o dal pallone o dalla mancata osservanza di riti scaramantici. Forse il problema è dovuto al fatto che anche i calciatori risentono dell’inquinamento dell’aria. I ricercatori hanno preso in esame le prestazioni atletiche nella Bundesliga tra il 1999 e il 2011 e hanno scoperto un legame tra la forma fisica dei campioni – misurata contando il numero di passaggi di palla – e l’inquinamento atmosferico all’esterno dello stadio.
Gli studiosi hanno preso in considerazione quasi tremila partite giocate in 32 stadi diversi da 1.771 calciatori di ventinove squadre e sono arrivati alla conclusione che l’inquinamento pesa in modo moderato sulle prestazioni dei giocatori tra i 20 e i 50 microgrammi di PM10 per metro cubico d’aria, e in modo consistente sopra i 50 microgrammi, livello che, se superato, può far scendere la performance fino al 16%. Nello studio, che verrà presentato al meeting annuale della Royal Economic Society in programma a Brighton il 21 marzo, si legge: “Abbiamo scoperto che un 1% di aumento del livello di polveri sottili riduce il numero di passaggi dello 0,02%”. Inoltre gli esperti hanno spiegato: “Anche se il numero di passaggi non sia una misura della performance fisica, lo abbiamo preso in esame come indicatore di produttività, dato che è collegato alla velocità del gioco e soprattutto è molto importante per il successo di una squadra a causa del possesso di palla e delle occasioni da reti create”.
In base alle analisi riportate i calciatori tendono a modificare leggermente lo stile di gioco e i passaggi lunghi diventano più frequenti all’aumentare della concentrazione di polveri sottili.