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Maurizio Manzini – You’ll Never Walk Alone



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Il “Colonnello” Manzini Maurizio, attributi e carattere, ha sempre avuto le idee chiare.

LAZIALITA’ – Aveva pochi anni e all’uscita dallo stadio Olimpico, dopo un derby perso contro la Roma, il padre, romanista e di famiglia tale, commentando con entusiasmo la vittoria gli disse: “Maurizio, hai visto?, abbiamo vinto”. La risposta fu di quelle che un genitore non avrebbe mai voluto sentire, che fa parte di quel retaggio da tramandare con certosina cura, per evitare falle, che potrebbero compromettere la tradizione sportiva di famiglia. L’approdo sull’altra sponda del Tevere, quella parte oscura “nemica” sportivamente che farebbe drizzare le penne a qualunque “essere umano” figlio delle stracittadine. Maurizio, allora adolescente, dopo la partita rispose seccamente al padre raggelandolo: “Papà, mi piacciono quelli con la maglia celeste..”. Diventò tifoso laziale, di quelli accaniti, da giornate interminabili in treno per le trasferte. Da quel momento combatté, dapprima una “battaglia” interna in famiglia, per poi espandere le proprie idee, sino a portarle dentro la “nave ammiraglia” biancoceleste, come “Comandante & Granatiere” dell’armata, per ben nove lustri (quarantacinque anni).

APPRODO IN BIANCOCELESTE – Il primo impatto con i biancocelesti lo ebbe a Lugano, in occasione della Coppa delle Alpi, una manifestazione sportiva istituita dal 1960 al ’87. Per altro la Lazio vinse il torneo nel ’71, anno di inizio collaborazione (non ufficiale) di Manzini. Finale contro il Basilea, punteggio di 1-3 con le reti di Manservisi, Wenger per gli svizzeri, e doppietta di Giorgio Chinaglia( ’76 – ’85 ). Il futuro direttore, si trovava lì per lavoro, in quel periodo lavorava presso la BEA di Milano. Venuto a conoscenza della presenza dei suoi “idoli” nella stessa città decise di andarli a trovare in ritiro pre partita. Manzini, forte di esperienza, nel settore delle vendite presso diverse compagnie aeree, fu chiamato a lavorare per l’Itavia. Una società aerea italiana che operò dal 1958 al 1980, divenuta tristemente protagonista, per intenderci, della strage di Ustica, e che operava a Roma. Manzini, che fu “costretto” a trasferirsi nella capitale, notò che tra i vari clienti della compagnia, figurava la Lazio. Riuscì, con l’intento di esaudire il sogno di lavorare per i propri colori, di organizzare un’amichevole a Bergamo. Divenne molto amico del mitico Nando Vona, dirigente del settore Pallacanestro della Lazio, quello che offriva panini e vino ai tifosi per placarne gli animi, per capire l’allora spessore degli uomini di calcio. Iniziò a farsi volere bene, con il suo carattere genuino e la sua smania laziale, tanto da essere invitato agli allenamenti a Tor di Quinto, e riuscendo in finale ad entrare nelle grazie del Maestro Tommaso Maestrelli. Non lasciò più quei colori sino a divenire Team Manager, sotto suggerimento del Presidente Calleri.

GENERAZIONE DI FENOMENI
Se per un attimo fossimo capaci di “rivivere” tutte le emozioni che quest’uomo avrà provato stando a contatto con tutta la sfilza di campioni che sono passati in tutti questi anni, credo potremmo saziare la nostra anima per i secoli dei secoli. Rivivremmo le gioie e i dolori infiniti degli anni ’70, con la “Banda di Maestrelli” e le funamboliche partite vinte, che portarono allo storico tricolore del ’74. Via via la tragica perdita di Re Cecconi prima e Maestrelli stesso dopo. Piangeremmmo la partenza di Chinaglia in America che segnò la fine di quell’epoca e gioiremmo per l’arrivo di Bruno Giordano, che preso il testimone di Long John, divenne nel ’79 capocannoniere della massima competizione. Poi la retrocessione, per lo scandalo sulle scommesse illecite, con il ritorno nella massima serie del 1983. Non riusciremmo a spiegarci come con la presenza di campioni del calibro di D’Amico, Manfredonia e Michael Laudrup, la Lazio nella disgraziata annata del ’84 – ’85, non riuscì nell’intento di imporsi nel campionato, e fallì clamorosamente tanto da retrocedere nuovamente nella serie cadetta. Penalizzati nuovamente con 9 punti e agonizzanti a strapelo col suolo pronti al trapasso (calcisticamente parlando), per quella retrocessione in Serie C, che avrebbe valso come il fallimento totale, assisteremmo al giorno della rinascita sportiva, all’ascesa verso il paradiso. Eugenio Fascetti in panchina da traghettatore, che sprofondando negli inferi, quel 21 Giugno ’87, vide nell’arcangelo Fiorini salvatore di risultato e patria. Lacrime di pioggia solo a parlarne. Poi il 1992, l’anno dell’acquisizione del club da parte di Sergio Cragnotti. La rivalutazione totale della società con investimenti importanti. Conosceremmo nel profondo “Signori del calcio” come Veron, Christian Vieri, Alessandro Nesta, Alen Boksic
e tanti ma tanti altri campioni. Racconteremmo di quel derby degli anni novanta vinto con gol di Beppe Signori (il capocannoniere di tre stagioni). La tensione fece fare un’invasione di campo anticipata al dirigente, convinto che il fischio dell’arbitro fosse quello finale, invece era soltanto una punizione. Carletto Mazzone dalla panchina vedendo rientrare mestamente Manzini (convinto di aver vinto il derby) lo guarda e gli fa: “Manzini ndo’ c…. vai?!”. Quella Lazio vinse tantissimo, e probabilmente con l’organico a disposizione avrebbe potuto fare di più. Ma con il senno di poi è facile parlarne.

BACK TO THE FUTURE – Oggi Maurizio Manzini è un “vecchio” leone che all’occorrenza ruggisce ancora a dovere (per delucidazioni chiedere al dg Infurna dell’Udinese), che si ritrova in una realtà diversa da quelle passate. Non che il periodo della società biancoceleste, dal punto di vista dei risultati, sia dei peggiori. Ma sicuramente è un’era nel quale manca da parte della dirigenza quel trasporto, quel sentimento di pancia che chi ha comandato e gestito questi colori ha sempre avuto. Non molto tempo fa si festeggiava la vittoria della Coppa Italia in finale contro la Roma, gol di Senad Lulic. Ma non è questo il problema. Manca quella parte vitale e spirituale dell’essere vivente, che lo porta a vivere per quella passione, che in questo caso si chiama S.S. LAZIO. Corollario di emozioni e sensazioni che invece a distanza di più di quarant’anni riecheggiano e calzano forti, come fosse un’armatura emozionale, in te “Caro” Manzini. Noi che in te rivediamo quello scudiero tutto d’un pezzo. E gli altri, che senza esserne consapevoli, non si rendono conto che dentro la “cantera” tanto conclamata dall’entourage biancoceleste, c’è un “giovanotto” che può ancora oggi raccontare ai più giovani le gesta di Chinaglia, le carezze di Maestrelli e le burla di “Gazza” Gaiscogne.

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