A volte la tecnica, quando è fine a se stessa, lascia il tempo che trova. La domanda è lecita: come si può avere un tale talento, quasi cristallino ma non avere, o avere a tratti (troppo alterni) il carattere, la consapevolezza e la tenacia per metterlo a disposizione della squadra?
Ebbene sì, parliamo di Felipe Anderson. In questo momento di difficoltà, nel quale l’esperienza, il tasso tecnico e la capacità di saper risolvere le partite, dovrebbero portare il giocatore di Brasilia a prendersi per mano la squadra (o quantomeno provarci), il giocatore nulla di tutto ciò combina, è impalpabile, inconcludente. Lo vediamo in campo a tratti, alcuni momenti è presente, ma comunque la sua manovra non è produttiva né efficace. Altri sparisce completamente dal gioco, e diventa totalmente avulso per la squadra.
“Campare di rendita” in uno sport è una cosa impossibile, e Felipe sta facendo di tutto per far rimpiangere quel “furetto“, tanto forte e veloce, che l’anno scorso seminava il panico nelle difese avversarie, con colpi d’estro e stravolgimenti.
La sensazione è che il giocatore ne voglia poco di calcare l’Olimpico, e perché (forse) le sue attenzioni sono proiettate verso altri lidi, e perché l’ambiente (a cominciare dalla società), non garantirebbero serenità nemmeno al più veterano dei campioni.
Una considerazione va fatta, e sulla base del concetto della “professionalità“. Che Anderson vada via o meno a Giugno, o che magari avrebbe preferito farlo durante questa finestra di mercato poco importa. Quando sei un professionista, dimostri fino all’ultimo la tua serietà in campo e fuori. E queste qualità ovvero la competenza, la costanza dell’impegno, la scrupolosità e la dedizione, ultimamente non fanno parte di questo “talento cristallino” dalle Emoticon facili.
M
eno “Twitter” più “Allenamenti”.