“Sono stato definito antiquato per aver insegnato il metodo “accucciati e riparati”, ma ride bene chi ride ultimo!” – Seymour Skinner, educatore.
I momenti no nella vita fanno emergere la vera indole delle persone. Si getta via la metaforica maschera con la quale nascondiamo il nostro vero io in questa società impersonale, e si affronta la montagna da scalare con le risorse che si hanno a disposizione. C’è chi affronta le avversità con rabbia, c’è chi fa emergere doti da stratega e ne esce fuori con calma e freddezza, chi si agita troppo e sprofonda come nelle sabbie mobili, chi mostra personalità da leader e chi prende atto dei propri limiti e si affida a professionisti che possano aiutarlo.
E poi c’è chi si accuccia, si mette le mani in testa e piange.
Ora, lungi da noi dileggiare la Lazio, la nostra Lazio. Perché i primi con le mani in testa siamo proprio noi, popolo biancoceleste. Sappiamo bene che per qualche strano motivo nell’essere laziali la fortuna ci ha sì baciati, ma prima di lavarsi i denti: e ci succedono cose strane come il gol di Zukanovic, che poi è di Anderson e che forse è colpa di Berisha ma anche di Konko, per non parlare di Pioli che alza la difesa a centrocampo al 93′ sull’uno a zero. Insomma, un po’ di tutti. E alla fine ai nostri ragazzi, anche se intimamente vorremmo strozzarli a uno a uno, gli vogliamo un gran bene e vederli così ci fa male. Vorremmo consolarli, dirli che passerà.
In fondo sono consumati professionisti e non sarà un pareggio contro la Samp, né due punti in sette partite, a far finire la Lazio che ha superato ben altri cataclismi. Però fa tenerezza vedere un vicecampione del mondo come Biglia per due partite di fila con gli occhi rossi praticamente fuori dalle orbite, a palla stile crisi isterica. Perché hai voglia a dire “pensa al Real Madrid“. Di questo passo anche un prestito alla Salernitana per certi giocatori, nonostante le raccomandazioni interne, sarebbe una strada impervia da percorrere. E loro lo sanno, oh se lo sanno…
Vederli così, insomma, fa tenerezza, ma anche un po’ paura. Perché al di là di liti, fasce di capitano, mercato insufficiente, società poco presente, allenatore poco lucido e sfighe varie, la sensazione è che la situazione sia sfuggita di mano, a tutti. E allora forse è meglio che a pensare a risolvere le cose provveda chi doveva già pensarci in estate, quando al momento di modellare un diamante grezzo (la squadra dello scorso anno) ha finito col ritrovarsi con un pezzo informe di vetroresina (la squadra di adesso). Perciò nei momenti neri, forse è meglio non fare nulla: accucciatevi e riparatevi. Però smettetela di piangere, perché anche da una sola lacrima si vede una debolezza che gli avversari non ti perdonano, mai.
Fabio Belli