La scorsa stagione il gioco spumeggiante della Lazio aveva riscosso consensi unanimi da tifosi e critica, anche dalla parte più scettica di essa. Stefano Pioli era arrivato in punta di piedi nella capitale, piazza da sempre considerata difficile da gestire, ma con tanto impegno ed altrettanta fatica e senza fare proclami di alcun genere era riuscito a farsi apprezzare da tutti, e a far apprezzare quella che era la sua idea di gioco: un calcio totale, in cui ogni giocatore ha compiti ben precisi sia in fase di attacco che di difesa, un calcio camaleontico, non incatenato negli schemi e nei moduli, ma che poteva cambiare in corsa a seconda della partita, dell’avversario e degli uomini a disposizione. Un’idea di gioco innovativa, un’idea di gioco attraverso la quale la compagine biancoceleste è riuscita ad arrivare al terzo posto in campionato e in finale di Coppa Italia, ma soprattutto un’idea di gioco che aveva riportato entusiasmo tra la gente laziale: la Lazio non era solamente vincente, era anche estremamente bella da vedere. Gioco di prima, verticalizzazioni improvvise, possesso palla, costante spinta sulle fasce, invenzioni dei singoli, dominio dell’avversario, alla Lazio della scorsa stagione non mancava veramente niente. Ma oggi dov’è finita quella Lazio? Gli interpreti sono gli stessi, con l’aggiunta di qualche innesto di prospettiva e l’assenza, ahinoi, di qualche infortunato cronico; l’allenatore è il medesimo come anche gli obbiettivi stagionali. Cosa manca allora a questa Lazio per tornare ad essere quella dello scorso anno? Probabilmente le cause sono più di una. Si parte dalle motivazioni: forse la squadra, ed in particolare qualche giocatore, si sente appagata, si sente di aver dato tutto e di non poter dare altro, di aver raggiunto il limite possibile per l’organico disponibile, ma come si può non trovare motivazioni in una città come Roma e con un pubblico come quello laziale? Un’altra causa da analizzare è quella della conoscenza del gioco di Pioli: lo scorso anno il modo di giocare della Lazio rappresentava una novità a cui era difficile trovare delle contromisure; ma il calcio moderno, si sa, è fatto di analisi e studio dell’avversario ed è attraverso ciò che gli allenatori avversari sembrano aver trovato l’antidoto giusto per contrastare il gioco biancoceleste. Il calo dei singoli: lo scorso anno le partite erano spesso risolte dagli strappi dei singoli, da quelle giocate capaci di indirizzare l’ago della bilancia di una partita equilibrata dalla parte laziale; in questi primi due mesi di calcio giocato i singoli hanno balbettato, fatta eccezione per qualche partita, manca continuità di alto rendimento, anche in una stessa gara.
La fiducia del popolo laziale nei confronti di Mister Pioli sembra essere intatta, alle porte c’è la partita che vale una stagione, quel derby della capitale che può cambiare le sorti di una squadra, in un modo o nell’altro. Dovrà essere il Mister a dare ai ragazzi le giuste motivazioni, a soprendere l’avversario attraverso innovative varianti tattiche e a caricare i singoli portandoli al rendimento che tutti si aspettano da loro.
Giulio Piras