Raul Gonzalez Blanco questa notte ha detto basta. Oltre mille partite in carriera, caterve di gol ed una bacheca stracolma di trofei possono bastare. In nottata si è ufficialmente chiusa la carriera di un giocatore che, per la mia generazione, è l’emblema del Real Madrid. Raul-Real Madrid è un binomio che, per molti, è inscindibile, da sempre e per sempre. Vero, verissimo, ma forse non tutti sanno la sua storia prima che quella camiceta blanca diventasse una seconda pelle. Nato da Pedro Gonzalez e Maria Luisa Blanco a San Cristóbal de los Ángeles, un modesto barrio nella periferia madrilena, la sua vita non è stata sempre rosa e fiori. Papà elettricista e mamma casalinga, con tre figli alle spalle, dovevano fare gli straordinari per far mangiare e studiare tutti in casa. Non c’era tempo per giochi o viaggi costosi, il passatempo preferito era giocare a calcio per le strade del quartiere. Raul, esile, poco prestante fisicamente, era il più piccolo del gruppo e, ogni volta, veniva “donato” alla squadra che perdeva la conta per la palla. Un po come dire “Palla o ragazzino?”. Probabilmente la partita durava poco, perché piccolo ed esile si, minuto pure, ma di un altra categoria anche…Papà Gonzalez che appena aveva una pausa dal lavoro lo andava a vedere capì fin da subito le qualità fuori dalla norma del piccolo di famiglia “In una partita in strada, dove non c’è tattica o rispetto delle posizioni, lui giocava in maniera fin troppo elegante, faceva quasi paura” disse anni dopo. In effetti si, la sua classe era cristallina e dopo 5′ in cui “il ragazzino” aveva già fatto la differenza la partita si sospendeva e….”rifacciamo le squadre” era una frase gridata quasi all’unisono. Non solo il papà si accorge di lui, ma anche le giovanili del quartiere. Comincia così, con il San Cristóbal de los Ángeles la carriera di Raul. Caterve di gol che non passano inosservate e via, la grande opportunità nella capitale: Atletico Madrid, per la felicità del papà, di fede colchoneros. Si avete capito bene, va a Madrid, ma sponda Atletico. Troppo forte per la sua categoria, troppo esile per giocare da sottoetà? Si, ma non importa, perché uno così, fisico o non fisico, non può non giocare. Oltre cento gol in due anni alle giovanili, l’esordio in Liga appare imminente ma….la società ha gravi problemi economici, le giovanili chiudono. Ed è proprio da qui, da questa sciagura finanziaria, che nasce l’amore tra Raul ed il Real Madrid. Nelle giovanili fa la differenza, da subito, come al solito, come fosse per strada nel suo barrio. Mamma e papà che lo seguivano in tutte le partite giovanili, in silenzio su qualsiasi tipo di scalinata che circonda i campi della periferia madrilena in un attimo, senza accorgersene, si trovano sulle tribune del Bernabeu per l’esordio in Liga. Per vedere il primo gol devono aspettare tanto? Niente affatto, appena una settimana. Lo scenario? Probabilmente neanche il miglior regista avrebbe potuto fare meglio….avete già capito con chi è il Match? Facile dai: Atletico Madrid, il derby. La fede di papà per i colchoneros non può che passare in secondo piano, perché il piccolo di casa gioca una partita incredibile: gol, assist e giocate favolose, ed al 60′, quando esce, il Santiago Bernabeu si alza in piedi ad applaudire quello che diventerà un simbolo. Commozione e lacrime di mamma e papà sono inevitabili, ma Raul non ha solo talento e visione di gioco, ha anche un carattere ed un intelligenza tale da non montarsi la testa, anzi, capisce che è il momento di lavorare sempre più sodo, e lo farà. I risultati li sanno tutti, inutile ora dilungarsi a narrare la sua carriera. Con la camiceta blanca numero 7 sulle spalle ha fatto la storia. Si è reso protagonista di stagioni fantastiche ed è diventato, non solo per i gol, simbolo ed emblema del Real Madrid. È diverso dagli altri, forse da tutti. Quell’eleganza che mostrava nelle strade del suo barrio la porta, senza cambiarla neanche un po’, negli stadi più famosi del mondo. Celebre, e ripetuto in migliaia e migliaia di campetti provinciali, il suo modo di esultare: bacio all’anulare e doppio colpo a battersi sul petto, in onore di sua moglie, con la quale ha cinque figli. Una dedica, forse di più, come per dire “È grazie a te se sto qui, se segno e se gioco bene, è grazie alla serenità che mi dai“. È vero? Probabilmente no, perché il talento era talmente cristallino che anche se fosse stato un playboy scapestrato, sarebbe emerso uguale. Ma forse non sarebbe diventato la bandiera ed il punto di riferimento che è stato. “I giocatori vanno, le bandiere restano” facile a dirsi, difficile a realizzarsi se la tua squadra è il Real Madrid. Fu così che, in silenzio e con classe, chiuso da una caterva di fuoriclasse acquistati di anno in anno, e chiuso da altri fenomeni (quasi) come lui, ma più giovani, decide di lasciare. “È un arrivederci, non un addio” disse in sala stampa, e noi ci crediamo. Schalke prima, Qatar ed Usa po, le sue mete. In fondo passano gli anni, ma il suo gioco preferito è sempre quello…Oggi, nel giorno in cui ha detto definitamente basta, forse una scrivania con il suo nome al Bernabeu è già pronta. Ma non è necessario vederlo in giacca e cravatta per ricordarsi di lui. Perché scusateci se noi, amanti di un calcio romantico, continueremo ad esultare così, ed indossare quella maglietta, sintomo di classe dentro e fuori dal campo. E scusateci se, anche tra venti o trenta anni, quando il fisico sarà tutto meno che esile, segneremo il giovedì sera nella partitella tra amici, e non mimeremo Hulk o non faremo il gesto “Tranquilli qui ci sto io“, ma ci porteremo l’anulare sulle labbra e poi ci batteremo il cuore, magari senza moglie a casa o neanche fidanzata, ma quello, per noi, sarà un gesto che resterà sempre nella storia del calcio, simbolo di classe ed eleganza. Grazie di tutto, delle emozioni e delle perle che ci hai regalato. Ci mancherai su un campo di calcio Raul Gonzalez “Blanco”….di nome e di fatto.
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