Viene da chiedersi, volendo parafrasare il titolo del libro di Primo Levi “Se questo è un uomo”, se la partita Roma – Lazio dell’8 novembre scorso possa essere definito un “derby”. La risposta a tale interrogativo deve essere, a mio avviso, negativa. Almeno se per “derby” non si deve intendere solo la gara sul campo, ma anche, anzi, soprattutto, l’entusiasmo e la partecipazione popolari che precedono, accompagnano e concludono l’evento.
Per esempio, potrebbe essere definito “Palio di Siena” un “Palio” senza i contradaioli ?
Verrebbe da dire che il “il malato è guarito perché è morto”, se si pone mente al fatto che lo pseudo derby dell’8 novembre scorso si è svolto senza una significativa cornice e partecipazione di pubblico. Se, poi, si pensa alle “terapie”applicate al derby, allo scopo di prevenire incidenti e turbamenti dell’ordine pubblico, si potrebbe dire con Moliere (cfr “L’Amour Médecin” II, 1) che il derby romano e, più in generale, il calcio rischiano di morire “di quattro medici e di due farmacisti” o, per dirla con il poeta latino Marziale (cfr “Epigrammi”, I, 47), “Diaulo faceva il dottore, ora si è messo a fare il becchino; quel che fa da becchino, faceva già da dottore”.
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oiché credo, a parte scherzose citazioni letterarie, che nessuno, in buona fede, voglia affossare definitivamente né eventi come il derby capitolino né, più in generale, il calcio, v’è bisogno che da tutte le parti interessate vi siano manifestazioni di buona volontà e di buon senso reciproci.
Ed è per questo che Federsupporter aveva lanciato la proposta (cfr Comunicato del 4 novembre su http://www.federsupporter.it) all’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive (ONMS) di farsi parte diligente onde convocare, al più presto, una riunione presso lo stesso Osservatorio tra, da un lato, la Prefettura e la Questura di Roma, le Società Lazio e Roma, nonché, dall’altro, Federsupporter, in rappresentanza dei tifosi.
La riunione avrebbe dovuto e dovrebbe avere come oggetto quello di fare il punto della situazione venutasi a determinare nelle Curve Nord e Sud dello Stadio Olimpico di Roma, verificando la possibilità di nuove soluzioni in grado di contemperare le esigenze di sicurezza e ordine pubblico con quelle dei tifosi, in specie della parte più calda e appassionata di questi ultimi. Purtroppo, la proposta è rimasta, almeno sinora, inascoltata e, quindi, v’è il rischio che la situazione tenda a peggiorare e a incancrenirsi.
Né giova l’annuncio di incontri di carattere, più o meno privato, tra esponenti di una sola delle due Società coinvolte con la Prefettura, non essendo, a mio avviso, questo né il modo né la sede più opportune per affrontare e risolvere, in maniera generalizzata, uniforme e condivisa, le questioni sul tappeto. Neppure giova la diffusione di allarmi esagerati prima di manifestazioni sportive, come è avvenuto nei giorni immediatamente precedenti la gara Roma – Lazio dell’8 novembre scorso.
In questa occasione plurimi organi di informazione hanno parlato, dandola per certa, di una sorta di “invasione barbarica” della Capitale a opera di una specie di “orda” di teppisti proveniente da mezza Europa (un mix di polacchi, inglesi e spagnoli) che, peraltro, sia per l’esiguità del numero (non più di circa 50 soggetti) sia per essere già ben noti alle Forze dell’ordine, avrebbero potuto, come poi è avvenuto, essere facilmente messi in condizione di non nuocere. Notizie che certamente non hanno indotto molti tifosi per bene, già dissuasi per altri motivi, a recarsi allo stadio per assistere al derby.
Altrettanto improduttivo in tema di sicurezza e ordine pubblico a causa o in occasione di manifestazioni sportive è chiedersi “se sia nato prima l’uovo o la gallina”. Cioè a dire se il mancato ricorso a misure che, recentemente, una pronuncia del Tribunale di Roma, di sicuro soggetto non sospetto, ha qualificato come “pesantemente discriminatorie e immotivatamente punitive”debba avvenire solo dopo che i tifosi abbiano dato ripetute prove di correttezza e civiltà, oppure se si debba evitare che tali misure siano o possano essere percepite, ex ante, così come le ha definite la suddetta pronuncia, con l’effetto di provocare la desertificazione degli stadi.
E’ vero che in una materia così delicata e difficile non esistono “bacchette magiche”, tuttavia, ciò non può e non deve distogliere dalla ricerca di quelle soluzioni in grado di contemperare esigenze diverse ma tutte legittime. In tema Federsupporter, così come nel passato, ha proposto l’adozione anche in Italia di modelli stranieri, quali quello olandese e, in specie, tedesco. Modelli che vedono riservate negli stadi apposite e specifiche standing area, ben identificate e identificabili senza la necessità di barriere divisorie, alla frange più calde e appassionate dei tifosi, nelle quali aree si possa seguire la partita senza posti assegnati, anche in piedi, con l’uso di scenografie, bandiere, strumenti acustici e a percussione, fermo restando il divieto di utilizzo di qualsiasi ordigno potenzialmente pericoloso per l’incolumità e di qualsiasi simbolo, striscione, cartello, inneggiante alla violenza o alla discriminazione.
D’altronde, la tecnologia mette oggi a disposizione sofisticati strumenti di identificazione a distanza che consentono di individuare singoli soggetti che non si attengano alle regole, evitandosi indiscriminate misure penalizzanti e coercitive di massa che capovolgono il principio “colpirne uno per educarne cento” nel suo opposto “colpirne cento per educarne uno”. Ma un contributo essenziale alla prevenzione di fenomeni di violenza a causa o in occasione di manifestazioni sportive può venire da un sistematico e costante coinvolgimento dei tifosi da parte delle società di calcio.
Ecco, dunque, che diventa decisivo creare e far funzionare, all’interno delle predette società, quei Dipartimenti per i rapporti con i tifosi o SLO (Supporter Liaison Officer) che, sin dal 2011, l’UEFA ha posto come condizione per ottenere le licenze di partecipazione alle competizioni organizzate dalla stessa UEFA.
Disposizioni recepite dalla FIGC, ma che sono state sinora sostanzialmente disattese o eluse dalla maggior parte dei club italiani, i quali si sono limitati a nominare SLO propri dipendenti o collaboratori spesso del tutto inadatti o inadeguati a svolgere le delicate funzioni loro attribuite e spesso operanti solo sulla carta.
Inadeguatezze e carenze che, però, almeno sino ad adesso, non hanno dato luogo a nessuna conseguenza nei confronti delle società inadempienti che, pertanto, hanno tranquillamente proseguito e proseguono nelle loro politiche vetero – padronali e autoritarie, ma certamente non autorevoli, considerandosi “legibus solutae” sia da norme dell’ordinamento sportivo sia da norme dell’ordinamento generale, malintendendolo lo sport, non come “cosa di tutti”, bensì come esclusiva “cosa nostra”. Senza, altresì, voler considerare che il calcio nostrano, per dirla con il Presidente del CONI, dr. Giovanni Malagò, anch’egli certamente soggetto non sospetto, è delegittimato da chi lo rappresenta.
Ed è per questa ragione che ritengo opportuno e utile, anche a beneficio di ignari e smemorati, ripubblicare in calce la lettera aperta del 20 aprile scorso inviata dal Presidente, Alfredo Parisi, per l’appunto, al dr. Malagò, proprio sul tema della violenza a causa o in occasione di manifestazioni sportive: lettera che faceva seguito al Convegno sullo stesso tema tenuto il 16 aprile scorso presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi Di Roma, La Sapienza, organizzato dall’ONMS in collaborazione con la predetta Università.
Avv. Massimo Rossetti