A Roma, lungo Viale Tiziano, nell’area tra via delle Belle Arti e Ponte Milvio, si erge quello che i tifosi laziali ritengono il loro vero impianto sportivo, lo Stadio Flaminio. Costruito dall’architetto Pier Luigi Nervi, tra il 1957 e il 1958, vide la sua inaugurazione il 19 marzo del 1959 in occasione delle Olimpiadi del 1960. Lo stadio venne ubicato sull’area del preesistente Stadio Nazionale che venne demolito nel 1957. L’impianto ha tutta una storia da raccontare alle spalle. Prima di prendere il nome Flaminio si chiamò Stadio della Rondinella, poi per volere di Mussolini prese il nome di Stadio del Partito Nazionale Fascista per poi diventare, dopo la tragedia di Superga in onore del grande Torino, per l’appunto Stadio Torino. Ora l’impianto, ormai abbandonato da almeno due anni, si trova in uno stato fatiscente. In un silenzio d’oltretomba, a parte il rumore caotico del traffico cittadino, tutto giace in uno stato di degrado incredibile. Erbacce ovunque, cancelli arruginiti e spazzatura avvolgono quello che rimane di ciò che per anni ha ospitato i sostenitori biancocelesti nelle domeniche di campionato. Nessuno sembra più interessato al mantenimento di quello che viene ormai considerato un “monumento”. Una delle poche persone che si ergono ancora a difesa dello storico impianto è Alessandro Cochi, consigliere di opposizione dell’assemblea capitolina, che tramite un comunicato stampa ha dichiarato:
“Finalmente dopo tanto tempo, si parla anche a carattere nazionale, salvo poche eccezioni nel recente passato, delle condizioni di completo deseterioramento dello Stadio Flaminio. Da tempo ormai si susseguono le grida d’allarme riguardanti le condizioni del glorioso stadio realizzato dall’ingegner Nervi accompagnate in alcuni casi da eloquenti testimonianze fotografiche, nonchè spesso anche da creative e fantasiose proposte di futuro utilizzo. In qualità di delegato allo sport nella passata consiliatura ho avuto modo di seguire i tentativi della Federugby di portare avanti un progetto di ristrutturazione dello stadio finalizzato ad adeguarlo a capienza e standard adeguati per ospitare degnamente il Sei Nazioni di rugby. Purtroppo dopo anni di tentativi di condividere il progetto con diversi soggetti competenti, si preferì optare per un trasferimento allo stadio Olimpico, che da sede temporanea si è ormai trasformata negli ultimi anni in sede definitiva con la condivisione del Coni. Seguì poi la proposta alla Lazio Calcio, quella del presidente Lotito e alla Polisportiva del presidente Antonio Buccioni. Ma al primo non interessava, e per la Polisportiva, l’importante investimento necessario (da 6 a 15 milioni di euro circa) con una manutenzione di oltre 700 mila euro l’anno costituiscono un impegno difficilmente sostenibile. A cavallo della fine del 2012 ci interrogammo quindi su quale soluzione fosse la più idonea e al tempo stesso potesse trovare una sua realizzabilità. Ricordo che venne incaricata la società , “Risorse per Roma” di effettuare uno studio di fattibilità con tre ipotesi, in linea con gli standard urbanistici di utilizzo . Tale studio venne fatto ma la fine della consiliatura non ci consentì di completare il percorso a suo tempo ideato con l’emanazione conseguente di un bando pubblico. Poi l’idea dell’ ex assessore Pancalli di affidarlo alla Figc di Giancarlo Abete per una “Coverciano tutta romana come casa della nazionale”. Un breve affidamento provvisorio di un anno, e con l’ avvento di Tavecchio alla Federcalcio, più nulla. Nel frattempo sono passati oltre due anni e l’immobilismo dell’attuale amministrazione su questo tema ha fatto anche la sua parte. Purtroppo il cambio di tre assessori con altrettanti direttori, paralizza un settore e un dipartimento, anzi ora una piu’ piccola direzione sport . Di fronte allo scempio ampiamente documentato dalle inchieste giornalistiche perché non ripescare quello studio di Risorse per Roma e presentarlo pubblicamente ? Sono consapevole che sono necessari importanti investimenti e per questo potranno essere interessati solo grandi imprenditori. Ma è necessario avviare rapidamente un percorso di recupero e troppo tempo si è perso dietro scelte utopistiche. Il mio vuole essere un contributo propositivo e non una lamentela fine a se stessa. Nella speranza che non sia solo un ultimo disperato appello. La storia del Flaminio, campione del mondo nel 1934 e la candidatura olimpica e paralimpica del 2024, sono altri due fattori che non ci permettono di vedere nella rovina più completa un bene comune, parola cara di chi sembra essersene oggi dimenticato abbastanza in fretta”.
Ora ci si augura che le autorità competenti affrontino seriamente la nodosa questione, cioè quella di riportare agli antichi bagliori quello che per i tifosi biancocelesti è parte della loro storia, con la speranza di potersi ritrovare un giorno in quell’impianto nel quale ancora oggi echeggiano le voci del passato di un tifo che accompagna i propri eroi da più di un secolo nella Capitale.