Non è la prima volta che accade: in casa Lazio così come in altri club, giocatori che sembrano arrivati al capolinea di un’avventura diventano improvvisamente indispensabili al progetto tecnico. “La costruzione di un amore spezza le vene delle mani, mescola il sangue col sudore se te ne rimane.” Cantava Mia Martini su testo di Ivano Fossati. E l’amore tra Keita e la Lazio è stato a prima vista, burrascoso e passionale, fatto di urla, pianti ma anche di esplosioni di immensa gioia, come quella di martedì sera.
Per la “maravilha” ex Barcellona nulla è mai stato facile. Non lo è stato dall’inizio, quando il Cornellà se lo è ritrovato spedito direttamente dalla Masia blaugrana per indisciplina. Si parla di dentifricio e cubetti di ghiaccio sui cuscini, robetta da caserma, ma l’educazione è fondamentale per il club catalano. Lui segna nelle giovanili della società satellite cinquanta gol in un campionato e stupisce tutti quando dice: “Io a Barcellona non ci torno.”
Si inserisce la Lazio, che porta lui e Tounkara a Formello: per il transfer servirà però un lungo anno di inattività, in cui il presidente Lotito lo rincuora personalmente. “Ce la farai, presto giocherai, presto sarà il campo la tua unica preoccupazione.” E il campo arriva in una freddissima mattina di gennaio, un Lazio-Palermo Primavera pareggiato con un rigore sbagliato da Rozzi. La settimana dopo, a Terni, c’è un altro rigore decisivo per la vittoria da calciare. Sul dischetto si presenta lui, e sbaglia. “Cominciamo bene,” mormora qualcuno in tribuna. Da lì in poi, la Lazio Primavera vincerà tutte le partite di campionato, e in una calda serata d’inizio giugno a Gubbio si laureerà Campione d’Italia, dodici anno dopo. La “maravilha” c’è, e saranno state le sue magie ad illuminare la strada verso lo scudetto.
La prima scommessa è vinta, l’amore con i tifosi è già scoppiato. Di lì all’esordio in Serie A il passo è breve, e il grande momento si consuma nei minuti finali di una partita casalinga vinta contro il Chievo. La prima da titolare arriva quattro giorni dopo, in Europa League contro il Legia Varsavia: assist per Hernanes e partita vinta. Il 10 novembre 2013, il primo gol in Serie A, a Parma. Al termine del campionato i gol saranno 5, più uno in Europa. In più, il record fissato il 9 febbraio 2014: Lazio-Roma 0-0, Keita è il più giovane calciatore ad essere sceso in campo da titolare nella storia del derby capitolino.
Sembra una strada spianata verso il successo, e invece ecco ancora il sangue che si mescola col sudore. Nella stagione successiva la Lazio di Pioli comincia a volare, l’esplosione di Felipe Anderson penalizza la “maravilha”. Che si trova spesso, troppo spesso, ad immalinconirsi in panchina. Tra un palo di troppo a Bergamo e tante occasioni mancate, tra un gol e l’altro in campionato passeranno 359 giorni, in pratica un anno intero. L’unico sigillo arriverà contro il Parma (proprio la squadra del primo gol nel massimo campionato), con tanto di esultanza liberatoria. Ma nonostante la Champions conquistata, rispetto all’anno prima è un passo indietro.
“La costruzione di un amore non ripaga del dolore, è come un’altare di sabbia in riva al mare.” A Shanghai c’è di nuovo Lotito a tenere la testa di Keita tra le mani. Così come quando la “maravilha” non poteva giocare in Primavera perché mancava il transfer. Stavolta, l’ennesimo mancato utilizzo fa esplodere il giovane attaccante, Pioli non lo vede, Keita chiede la cessione. Si parla addirittura di un prezzo fissato a quindici milioni di euro. Inter, Genoa, l’Inghilterra, sembra tutto deciso. E invece.
E invece il malumore nero della “maravilha” si trasforma nell’urlo Champions della magica notte di martedì, quel “Vamooooos!” che esalta tutto lo stadio. C’è un amore ancora da costruire e una storia tutta da scrivere, a partire da quella che mercoledì sera sarà la battaglia della BayArena. Il mal di pancia non è ancora passato, ma per Keita, forse, le pagine del romanzo in biancoceleste saranno ancora tante.
Fabio Belli